Molte aziende nascono da un’idea. Tipicamente un prodotto o servizio. Si vuole fare la differenza, in qualsiasi campo ci si trovi ad operare. Ad esempio, vogliamo essere il gelataio col gelato più buono o con un gusto nuovo. Oppure, semplicemente, in quel quartiere manca un gelataio e vediamo uno spazio di business.
Però, quando ci affacciamo sul mercato, nel primo giorno di attività, scopriamo di non avere clienti, fan, notorietà. Nessuno sa che esistiamo. Dobbiamo quindi farci conoscere. I primi giorni di lavoro sono difficili ed entusiasmanti. Ci si presenta, si propone un’offerta, la si pubblicizza e si ascolta la risposta del mercato. Qualcuno entra nella nostra gelateria o negozio o software-house o sito web oppure squilla il telefono o arriva una mail. I clienti vengono incontrati, ascoltati e serviti. Variazioni vengono prodotte (il gelato all’amarena non è gradito, proviamo una variazione alla fragola …) e nuovo valore viene creato man mano che i problemi vengono risolti e che i clienti danno feedback, implicito o esplicito che sia.
All’inizio, i collaboratori più preziosi sono quelli che fanno la differenza, che capiscono cosa vuole il cliente e determinano come soddisfarne il bisogno. Poi, se l’azienda ha successo, inevitabilmente si inseriranno nuove persone. Persone che non facevano parte del nucleo iniziale e che non hanno vissuto quei momenti così emozionanti. Per loro, questa sarà un po’ un’azienda come un’altra, semplicemente un posto dove fare un buon lavoro. Saranno figure commerciali (con un target di nuovi clienti o affari) o amministrative (controlla i costi, massimizza i profitti) o manageriali (che mettano ordine nel caos causato da una crescita disorganica). È proprio qui che, spesso, nascono i problemi. I nuovi arrivati sono, di fatto, massimizzatori di profitto. A volte trattano clienti e attività non come storie, bensì come righe di un file Excel o transazioni gestionali o elementi di profitto/costo. Come entità tra loro sostituibili in quanto quasi identici. Come opportunità indifferenziate di reddito o risparmio.
Giochiamo a Jenga?
Jenga è un gioco da tavolo il cui nome è tratto dalla lingua swahili (Jenga significa “costruisci!”, imperativo del verbo Kujenga). Si sistemano 54 blocchi di legno per formare una torre di 18 piani, con 3 blocchi per piano. I giocatori a turno sottraggono un blocco dalla torre e lo posizionano sulla sommità. La torre diventa progressivamente più instabile. Quando un giocatore sottrae il pezzo che la fa crollare, ha perso.
Come in Jenga, il modo più veloce per un’azienda di aumentare i profitti è quello di rimuovere alcuni elementi. Elaborare più transazioni con meno costi. Abbassare le spese generali. Misurare i costi marginali (relativi a ogni transazione), andando a trovare modi di gestire più attività a parità di risorse. E più velocemente.
Pensate a una start-up in crescita grazie a un servizio di buon successo. Una volta arrivati al primo profitto, come andare oltre?
- Espandersi a livello nazionale o internazionale: Costoso e rischioso! E se poi non abbiamo successo?
- Acquisire un concorrente e aumentare le quote di mercato: e se poi non riusciamo a integrarlo?
- Chiedere un finanziamento per aprire una nuova fabbrica: e se poi non ripaghiamo il debito?
- Sviluppare una nuova linea di prodotto: e se poi non ha successo? Oppure, magari, piace troppo e cannibalizza il profitto generato dagli attuali prodotti
È più semplice giocare a Jenga:
- Perché tenere una receptionist quando i contatti con i clienti sono soprattutto digitali?
- Perché 4 tecnici quando ne possono bastare 3? Se i clienti devono aspettare un paio d’ore, non è un grosso problema
- Perché dare aumenti di stipendio o piani incentivi alle persone? Non preoccupiamoci del turnover. Diamo alle persone parecchio da fare e, se e quando se ne vanno, assumeremo qualcun altro
- Problema assistenza clienti? Ecco chatbot e FAQ. Al massimo un paio di persone al call center
Giocare a Jenga è contagioso. Una volta che un nostro concorrente inizia, c’è un’implicita pressione a fare lo stesso. I profitti diventano il punto focale. Inizia una corsa al ribasso che, alla fine, è senza vincitori. Quando vengono rimossi troppi pezzi, o la tecnologia o il mercato cambia, la torre diventa troppo traballante e crolla. Qualcun altro costruisce una nuova torre, almeno inizialmente più solida, e il processo ricomincia da capo.
La sfida più grande per i manager? Conciliare il breve e lungo termine
Dashboard e controllo di gestione sono fondamentali. Padroneggiare i numeri è essenziale. Ma i numeri non sono il business, i numeri sono indicatori, elementi collaterali. I numeri sono la forma. La sostanza sono i prodotti, i clienti, il valore che portiamo sul mercato, la differenza fatta giorno per giorno.
Contrariamente a quanto si pensa, le aziende non esistono per fare profitto. Le aziende esistono perché danno un valore o risolvono un problema. Ad esempio, il gelato rinfresca e dà piacere. Ciò che pago è la conseguenza del valore ricevuto. Il profitto è fondamentale ma è solo un (imprescindibile) effetto collaterale del perché le aziende esistono.
Passiamo molto tempo a rendere le nostre torri sempre più traballanti. La capacità di connettersi con clienti e fornitori, di far evolvere un prodotto o servizio o organizzazione, la chiarezza del valore generato è troppo importante. Non misurate solo l’elemento collaterale (i numeri). Ne vogliamo parlare?
[per leggere l’articolo sulla rivista clicca QUI]