Cosa c’è dietro a questa figura sempre evocata ma talvolta non utilizzata in modo corretto.
Amici del canale, la maggior parte delle organizzazioni ha una figura professionale che chiamano ‘Direttore Marketing’. Chiamarlo ‘Direttore’ fa pensare a un elevato grado di autonomia decisionale, ma, assai spesso, il lavoro di questa persona è più tattico e meno strategico di quanto si pensi. Questo avviene solitamente perché il capo (il CEO, il socio di maggioranza, il padrone, insomma il vertice dell’azienda) non è disposto a delegare le decisioni che si trovano al centro della strategia di marketing. Il vertice, infatti, tiene allocate a sé le risposte alle domande più cruciali per l’azienda: “A chi è rivolto?” (il prodotto/servizio che offriamo: quale è il pubblico che indirizziamo) e “A cosa serve?” (quale è il suo elemento differenziante, oggi e in prospettiva). Il capo quindi raramente delega la responsabilità relativa al posizionamento dell’azienda e all’impatto sul mercato di riferimento. Quindi, è un po’ ingenuo chiamare ‘Direttore’ questa figura di marketing. Forse chiamarla ‘Responsabile delle operazioni di marketing’ sarebbe una dicitura più precisa e corretta.
Il marketing nella realtà delle cose
In effetti, il responsabile del marketing è spesso più un consigliere del CEO, incaricato di presentargli un posizionamento. Se il capo è in buona vena e intelligente, ascolterà attentamente le proposte, porrà domande difficili e puntute e poi prenderà una decisione sensata. Il resto del tempo, il capo del marketing lo passerà eseguendo le istruzioni ricevute. E questo non è certo sbagliato: il marketing è in realtà il processo base (una sorta di ‘colonna vertebrale’) di ogni organizzazione che interagisca con un pubblico. Il marketing è ‘sangue vivo’ e deve essere coinvolto in tutte le interazioni interne ed esterne. Ecco perché il marketing non appartiene al cosiddetto Direttore Marketing. Il marketing appartiene a tutta l’azienda. Ma se invece voi volete essere un vero capo del marketing, allora la vostra azienda vi deve dare la libertà e la responsabilità di cambiare il modo in cui funzionano le cose, non semplicemente di come vengono presentate.
Nelle aziende orientate al brand come Unilever, il brand manager, nella sua apparentemente ristretta, ma in realtà assai importante, area di responsabilità, ha spesso molta più influenza rispetto a quanto avviene in aziende più centralizzate come Facebook, dove sembra che i gradi di libertà siano più ristretti.
Se si desidera avere a bordo un capo marketing, è necessario dargli la libertà di fare effettivamente marketing. La ragione per cui il mandato di un Chief Marketing Officer (CMO) in una grande azienda è spesso di 18 mesi è che ci vuole un anno e mezzo perché il CEO si renda conto che i presunti ‘miracoli’ senza dolore, senza rischi e facili facili non stanno arrivando nei tempi sognati.
Marketing strategico: una definizione
Abbiamo smontato il marketing, adesso proviamo a rimontarlo. Il primo passo è la definizione di marketing strategico. Parliamo qui delle tecniche per definire una pianificazione delle azioni e sfruttare al massimo gli strumenti messi a disposizione. Sembra generica come definizione, vero? Voglio usare parole più semplici e immediate: il marketing strategico è la pianificazione di ciò che si andrà a svolgere con le successive attività. Tra i benefici ideali del marketing strategico c’è l’analisi del mercato di riferimento, e tutto ciò che lo riguarda. Quindi anche il brand, la sua collocazione all’interno di un parco più ampio e le esigenze del pubblico. La strategia – come suggerisce Wikipedia – permette di definire uno sviluppo capace di intercettare le opportunità del mercato e i bisogni insoddisfatti dei potenziali clienti. Tutto questo prendendo in considerazione due aspetti che non possono venire meno: risorse e competenze dell’impresa. Il risultato più ambito? Ottenere gli obiettivi di crescita e di guadagno attraverso il conseguimento di un vantaggio competitivo. Scoprire le esigenze del target, studiare il contesto nel quale si dovrà operare, prendere coscienza delle possibilità interne (compreso tutto ciò che si può mettere in campo) e decidere una strada da seguire per ottenere il risultato: questo è il marketing strategico.
Cos’è il marketing operativo?
Il marketing operativo è l’altro lato della medaglia. In realtà è la traduzione delle indicazioni provenienti dalla strategia. Se la strategia si occupa dell’individuazione delle linee guida da seguire per ottenere risultati, l’operativo coordina il lavoro sul campo. Lo suggerisce il nome stesso: marketing operativo, rendere realtà ciò che hai messo a piano. La strategia fissa gli obiettivi, poi c’è bisogno di un’attività che applichi ciò che serve per ottenere il risultato. Sembra facile, vero? Ma il punto è questo: non si tratta solo di mettere in pratica ciò che i teorici hanno suggerito. Occorre far fruttare gli strumenti, e contestualizzare i KPI (key performance indicator) più giusti per misurare l’efficacia di un’azione. Con tutte le difficoltà del caso, proprio perché la realtà è complessa. “Tutti hanno un buon piano fino a quando non prendono un pugno in faccia”, diceva il buon Mike Tyson. Il marketing operativo è orientato all’azione e sottolinea le opportunità sul campo, sfruttando ciò che accade nel breve periodo. Altra caratteristica? La reattività, ovvero la capacità di sfruttare gli avvenimenti a proprio vantaggio e di limitare i danni nel caso in cui la situazione precipiti. Si pensi alla gestione di una crisi sui social: la strategia suggerisce la presenza di un canale e di un determinato atteggiamento, ma è il team del marketing operativo quello che poi affronterà il problema.
Differenze tra marketing strategico e operativo
Le definizioni sono abbastanza chiare e dovrebbero consentirci di avere un quadro della situazione. La differenza si trova nel ruolo che queste fasi hanno all’interno del processo che permette di affrontare le sfide: la prima fase studia il terreno, la seconda muove le pedine sul campo. Ma ricordate: tutto è compromesso. È possibile costruire un’auto in cui il guidatore non possa mai ferirsi indipendentemente dalla gravità dello schianto. Però sarà così pesante che non si muoverà e così larga che non entrerà in carreggiata. Dobbiamo quindi ricordare che scendiamo a compromessi ogni volta che ci scontriamo con le regole della fisica, ossia sempre. E magari, in linea puramente teorica, è possibile che ‘i pianeti si allineino’ e ci diano esattamente la ‘congiunzione astrale’ che vogliamo. Tranne che, nella vita di tutti i giorni, questi pianeti, ossia i clienti, sono in realtà altri esseri umani i quali non hanno esattamente le nostre priorità, desideri e aspettative. Scendiamo quindi a compromessi ogni volta che incrociamo altri esseri umani, ossia sempre. È inutile costruire un piano sulle aspettative del possibile. Una volta che riconosciamo il fatto innegabile che la crescita del business potrà avvenire solo grazie a dei ‘compromessi’, possiamo arrivare alla domanda vera, ‘quanto?’. Quanto potremo scendere a compromessi con la realtà delle cose per riuscire a migliorarle?
In conclusione
In conclusione, facciamoci qualche domanda:
- La vostra azienda ha un Direttore Marketing?
- Se sì, è qualcuno che centralizza tutto su di sé oppure fa in modo che il marketing sia ‘pervasivo’ all’interno dell’organizzazione?
- Avete un piano di marketing strategico e uno operativo?
- Siete pronti a utili compromessi per far crescere il business? Oppure pensate che tutti debbano fare la fila per comperare da voi?
Se queste domande vi hanno generato più dubbi che certezze, vogliamo magari provare insieme a cambiare le cose? Ne vogliamo parlare?
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