Amici del canale, nel corso degli ultimi mesi, miliardi di persone hanno partecipato al più grande esperimento sociale involontario mai condotto: la videoconferenza come principale sostituto della comunicazione di persona.
Sebbene abbiamo scoperto che, in molti casi, tutto ciò è possibile (meglio: è auspicabile), la cosa ancora più importante che abbiamo capito è che, indipendentemente dalla larghezza di banda disponibile e dalla risoluzione video, queste app non riescono a convogliare molti dei segnali che le persone utilizzano quando comunicano.
Non pensate neanche per un istante che auspichi di tornare indietro: usare la videoconferenza invece delle riunioni si è rivelato utilissimo nella maggioranza delle situazioni. C’è stato un innegabile ridotto impatto ambientale e conseguenti risparmi in termini di benzina e consumo dell’auto (e tempo perso in coda e rischio di incidenti). Nel recente passato mi sono spesso trovato a fare 300 KM per un meeting di un’ora perché (giustamente) il potenziale cliente pretendeva di vedermi in faccia, di conoscermi di persona, di stringermi la mano prima di staccare l’ordine. In poche parole, di venire rassicurato in relazione alla sua decisione di acquisto. In questi mesi però, quegli stessi clienti hanno scoperto che convocarmi nel loro ufficio non era poi così strettamente necessario.
Conosco molte persone che sono state assunte online. Di molte persone che le aziende hanno assunto non si conosce nemmeno l’altezza in quanto le abbiamo sempre viste ad una scrivania davanti a un video.
Lo “smart conferencing” ha quindi innegabili significativi lati positivi. Tanto è vero che ne usiamo parecchio. Forse talvolta ne abusiamo. Tutti noi abbiamo usato app di videoconferenza per riunioni di lavoro virtuali, caffè virtuali con amici, riunioni di famiglia a distanza, lezioni online. E mentre la tecnologia ci consentiva di condurre affari, vedere amici e trasferire informazioni, eravamo comunque in parte insoddisfatti. Collegarsi online non è esattamente lo stesso del trovarsi dal vivo al tavolo di una sala riunioni o interagire in classe o chiacchierare in un bar o in un ristorante. E sembra più estenuante. Perché? Mentre passiamo lo stesso tempo di prima (e a volte di più) in riunione, spesso scopriamo di essere meno produttivi, le interazioni sociali sono meno soddisfacenti e l’apprendimento a distanza è meno efficace. E siamo frustrati dal fatto che non capiamo perché.
A mio avviso, la risposta è che le app di videoconferenza non catturano (ancora) la complessità dell’interazione umana: la tecnologia di videoconferenza odierna non emula (ancora) il modo in cui le persone interagiscono quando si ritrovano di persona. Ci manca qualcosa. Cosa? Proviamo a proporre alcuni spunti.
- Il luogo dell’incontro
Nel mondo fisico lo spazio e il contesto danno informazioni e rinforzi. Vi incontrerete nella sala presidenziale del 47 ° piano godendo di una splendida vista? Sarete circondati da altre conversazioni animate in un bar o seduti con i compagni di classe in un’aula o in una sala di lettura?
Con le persone che lavorano da casa non si può davvero sapere dove ci si trova durante la riunione o quanto sia importante il luogo o l’impostazione dell’incontro. In una videoconferenza gli indizi contestuali vengono omogeneizzati. Sembra tutto uguale, che si giochi a poker o si faccia una riunione commerciale. Magari il vostro interlocutore è in giacca e cravatta e senza pantaloni e non potete saperlo. E con le videoconferenze le persone vedono il vostro spazio privato. Bisogna controllare se c’è qualcosa di imbarazzante in giro. Magari i vostri bambini litigheranno e interromperanno la riunione. Abbiamo scoperto che è faticoso tenere separati gli affari e la vita di tutti i giorni.
Peraltro, nel mondo reale non ci si teletrasporta in riunione: si entra in una città, in un quartiere, in un edificio, si trovi la stanza, si saluta, ci si siede. Entrando e uscendo in videoconferenza mancano le “transizioni”. Online c’è solo il dentro e il fuori. La videoconferenza è iniziata o finita.
- Il contatto fisico
In secondo luogo, la maggior parte degli incontri aziendali e sociali inizia con un contatto fisico: una stretta di mano, un cenno di saluto, un abbraccio, a volte un bacio sulla guancia. C’è qualcosa in quella prima interazione fisica che può comunicare fiducia e connessione. Negli incontri di lavoro c’è anche il rituale formale dello scambio di biglietti da visita, dell’offrire il caffè alla macchinetta dell’ufficio mentre tutto intorno i colleghi chiacchierano. Sono utili preamboli per stabilire una connessione e un contesto per la riunione che segue.
- Il contesto
Quando ci troviamo di persona riceviamo molte più informazioni rispetto al semplice guardare il viso di qualcuno in un pezzo di schermo. Se siamo in una riunione di lavoro, esamineremo la stanza con un rapido sguardo, potremo vedere cosa c’è sulle scrivanie o appeso alle pareti, cosa c’è sugli scaffali o nei cubicoli. Se siamo in una conferenza o in classe, vedremo a chi siamo seduti accanto, noteremo cosa indossano, portano, leggono, scrivono. Potremo osservare le relazioni tra le persone e notare deferenza, gerarchia, sguardi secondari e altri segnali sottili. E potremo usare tutto questo per costruire un contesto e fare ipotesi – spesso inconsciamente – su personalità, posizioni, status.
- Gli Indizi non verbali
Sappiamo da tempo che la metà delle nostre comunicazioni è attraverso segnali non verbali. Durante una conversazione osserviamo le mani degli altri, seguiamo i loro gesti, ci concentriamo su espressioni e toni di voce. Attiviamo un contatto visivo e notiamo se viene contraccambiato. E seguiamo costantemente (spesso inconsciamente) il linguaggio del corpo dei nostri interlocutori: postura, orientamento del corpo, come si alzano o si siedono.
In una riunione di gruppo non si seguono solo gli spunti del relatore, ma spesso sono anche gli sguardi laterali e i rumori e le scrollate di spalle tra i partecipanti che aggiungono sfumature alla riunione. Sullo schermo di un computer, si perde molta di questa interazione laterale tra le persone.
La somma di questi segnali non verbali è lo sfondo (ancora spesso inconscio) di ogni conversazione. Ma le app di videoconferenza offrono solo uno sguardo fisso da una telecamera. Ognuno è relegato in un quadrato sullo schermo. È come avere la testa in una morsa ed essere spinti in una riunione legati a una sedia e indossando dei paraocchi.
- Gli indizi olfattivi
Gli scienziati hanno scoperto che negli animali, in particolare nei primati quali noi siamo, la comunicazione viaggia non solo attraverso parole, gesti, linguaggio del corpo ed espressioni facciali, ma anche attraverso gli odori e lo scambio di sostanze chimiche chiamati feromoni. Questi non si registrano consapevolmente, ma tuttavia vengono raccolti dal nostro bulbo olfattivo e inviano segnali al cervello su stato sessuale, pericolo e organizzazione sociale. Essi controllano alcuni dei nostri comportamenti sociali e regolano i livelli ormonali.
- Le interazioni collaterali
Vi racconto un caso personale: spesso partecipavo a conferenze multisponsor dove si susseguivano diversi relatori su vari argomenti. Durante la pandemia, pur avendo ricevuto inviti a bizzeffe, non ho partecipato ad alcuna conferenza online. Perché? Perché per me gli eventi sono un modo di avere interazioni “molti-a-molti”, per stringere mani, per scambiare biglietti da visita, per scoprire cose inaspettate, a volte anche per lasciare vagare la mente. È raro che esca da una conferenza senza parecchi appunti il quali diventeranno, in parte, azioni concrete o idee da sviluppare. È un po’ il concetto di “serendipità” che indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa imprevista mentre se ne stava cercando un’altra.
Le conferenze online non mi danno niente di tutto ciò. Se partecipo, entro per ascoltare uno speech che mi interessa e poi esco.
Perché le teleconferenze video sono faticose
Se avete trascorso periodi prolungati in video durante la pandemia, probabilmente lo avete trovato estenuante. Oppure, se state utilizzando i video per l’apprendimento, capirete presto che queste situazioni stano influenzando negativamente la qualità del vostro imparare e riducendo la vostra capacità di elaborare e conservare le informazioni.
Siamo, infatti, esausti a causa dell’elaborazione cognitiva aggiuntiva necessaria per riempire il 50% mancante della conversazione che normalmente riceveremmo da segnali non verbali. È l’accumulo di tutti questi segnali mancanti che causa affaticamento mentale.
Parlando poi di attività commerciali, abbiamo capito che si risparmia molto tempo per le riunioni iniziali e la qualificazione delle opportunità (bene!), però i venditori stanno anche scoprendo che chiudere affari complessi in video è più difficile. Anche considerando il particolare momento economico (banalmente: i clienti non comperano perché non hanno soldi), la ragione è che, di persona, i migliori venditori sanno “leggere” un incontro. Ad esempio, possono dire quando qualcuno annuisce per trattare ma in realtà quell’annuire significa “assolutamente no”. Oppure possono raccogliere messaggi del tipo “dimmi di più” quando qualcuno si sporge in avanti. Nelle videoconferenze parecchi di questi segnali scompaiono. Di conseguenza, gli affari che dovrebbero essere facili da chiudere richiederanno più tempo e quelli più difficili magari non accadranno (o richiederanno tanto sforzo). Si sta quindi investendo lo stesso o più tempo per le riunioni ma si è frustrati dal fatto che progressi siano minimi. Il video è, a volte, un “productivity killer” per il team commerciale.
Inoltre, nelle situazioni sociali, il linguaggio del corpo può aiutarci a capire che un amico che sorride e dice che va tutto bene ha invece difficoltà nella vita personale. L’assenza di questi segnali – e la perdita del contatto – può portare a una maggiore distanza tra noi e gli amici. Il video può colmare la distanza ma manca l’empatia che un abbraccio comunica.
Un’opportunità per gli innovatori per portare la videoconferenza al livello successivo
Questo esperimento di miliardi di persone che sostituiscono la comunicazione faccia a faccia con il digitale ha convinto molti di alcune cose:
- L’attuale generazione di applicazioni di videoconferenza riproduce solo parzialmente il modo in cui le persone comunicano. Queste app non aiutano a catturare i segnali di comunicazione non verbale: tocco, gesti, posture, sguardi, odori. Inoltre non hanno afferrato quanto sia importante ciascuno di questi segnali e come questi interagiscano tra loro. (Qual è l’ordine di importanza di ognuno di questi?). Infine, queste app non sanno quale di questi segnali è importante in quale contesto. Ad esempio, quali sono gli spunti giusti per segnalare empatia in momenti sociali, sincerità, affidabilità e relazione in riunioni aziendali o attenzione e comprensione nell’istruzione online?
- C’è una reale opportunità per una prossima generazione di applicazioni di videoconferenza di colmare queste lacune. I nuovi prodotti dovranno affrontare nuovi problemi: Come ci si stringe la mano? Come ci si scambia un biglietto da visita? Come si raccoglie e convoglia l’ambiente intorno all’altoparlante? Come si notano i segnali non verbali?
- Esistono già oggi startup che offrono software di rilevamento e di analisi delle emozioni che misurano schemi vocali e segnali facciali per inferire sentimenti e livelli di attenzione, ma questi strumenti non sono ancora integrati nelle app di videoconferenza più utilizzate. E nessuna delle principali app è sensibile al contesto di particolari tipi di riunioni. Forse una sovrapposizione di realtà aumentata con segnali non verbali per gli utenti aziendali potrebbe essere un primo passo per migliorare la fruibilità.
In conclusione
Amici del canale, anche voi trovate utile la videoconferenza ma soffrite di non poter andare ad eventi fisici? Anche per voi lo smart working rappresenterà la principale modalità di lavoro ma volete tornare a organizzare eventi con i clienti? Lo vogliamo fare assieme? Ne vogliamo parlare?
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