Claustrofobica, stressante, affollata, inquinata, iper-sorvegliata, non autosufficiente e pure dispendiosa. La città è oggi in discussione. Persino nella sua versione ‘smart’, che sembrava fino a qualche anno fa la panacea per ogni male, la realtà urbana si scopre in questo distopico periodo come il luogo da cui scappare. Per andare, ovviamente, a vivere in campagna. Dai newyorkesi in fuga da Manhattan ai londinesi che progettano di comprare un cottage in amene contee, fino agli italiani che in questi mesi si sono riversati nelle seconde case o sono tornati dai parenti in borghi e paesi fra le montagne, sembra che, almeno chi può, stia cercando rifugio in quella parte di mondo che non è città. Una tendenza che è stata messa in luce dalla crisi sanitaria e dai mesi di lockdown, ma che in realtà era già in atto. Ben prima della pandemia, megalopoli storiche come New York, Parigi e Londra stavano già vedendo una diminuzione della popolazione residente.
Amici del canale, in questo periodo, e ancora di più nei prossimi mesi, ci confronteremo con l’impatto che la pandemia avrà sulle città. Con tante persone in smart working (o, purtroppo, disoccupate) ridurranno la loro importanza attività quali bar, ristoranti e attività di servizio progettate sulle esigenze degli impiegati. Diminuirà il traffico dei pendolari e la congestione negli orari di punta. Da certi punti di vista è un male ma da altri un bene. Vedremo infatti le città respirare di più. Ci sono quartieri come Porta Nuova a Milano che già vivono questi cambiamenti e d’altra parte non è più uno scherzo quella cosa che qualcuno chiama #southworking. Bello lavorare da Palermo (magari con i piedi a mollo) per un’azienda di Torino, ma, più normalmente, sarà piacevole lavorare lontano dalle città, almeno per alcuni giorni alla settimana, recandoci in ufficio o dai clienti solo quando si rende necessario.
Se il South o il North Working prenderanno piede avremo probabilmente agglomerati meno frenetici, e in prospettiva saremo più pronti a goderci diversi spazi di socialità. Tante località in giro per l’Italia e l’Europa potranno costruire comunità basate su valori comuni. Le città, piccole e grandi, potranno tornare al concetto di ‘polis’ dove l’aggregazione è per motivi sociali, per il piacere di vivere vicini e scambiare idee ed esperienze, non per stare chiusi in un ufficio e poi scappare a casa prima che ci sia troppo traffico.
Ci sono già alcuni esperimenti al riguardo, per ora solo in bozza. Per esempio, un progetto per un resort per nomadi digitali e smart worker nell’Oltrepò Pavese a due passi da Milano, dove le regole vogliono essere biodiversità, sport, vini buoni e ottima cucina ma soprattutto paesaggi e sostenibilità. I motivi per collocarsi qui sono davvero molti. Quello che si vuole fare è conciliare opportunità di sport e svago, buona cucina e alimentazione sana, con un ambiente ‘business friendly’ dove le connivenze con la Cina e la Silicon Valley siano fortissime, ma con in più un modo di vivere tutto italiano, la bellezza del paesaggio e la posizione strategica, vicino alle più importanti arterie di comunicazione e in totale comodità: 40 minuti di treno e sei a Milano!
I ribelli digitali
Nel 1951 Ernst Jünger pubblicò il libro ‘Il trattato del ribelle’, un’interrogazione su qualunque sistema che vada a soffocare i cosiddetti ‘uomini liberi’, i ‘ribelli’, ai quali viene consigliato di ‘passare al bosco. Ispirato dalle foreste della sua Germania, Jünger parla di ‘waldgang’ (letteralmente: “sentiero nel bosco”), termine che identifica una comunità di uomini liberi che deve consolidarsi per creare un ecosistema alternativo nel segno di un’anarchia anti-materialistica. In ispirazione (ed estrapolazione) di queste teorie, c’è chi dice che, entro il 2045, gran parte della forza lavoro sarà nomadica. In omaggio a Jünger, si parla appunto di ‘ribelli digitali’, di gente che sfrutta le opportunità offerte dal proprio talento senza venire sfruttata dal lavoro e dai suoi ritmi.
Amici del canale, come capite, le vostre aziende clienti stanno per cambiare, così come stanno già cambiando le aspettative e i desideri dei vostri collaboratori. Di conseguenza anche le vostre aziende cambieranno, anche se ancora forse non l’avete apprezzato appieno. Si sa però che il cambiamento è meglio prevenirlo che subirlo, che è meglio guidarlo. Prepariamoci.
Quale ricetta per il futuro?
Amici del canale, la ricetta per il futuro forse sta nella nostra capacità di scelta e di progettare un futuro diverso per noi e i nostri clienti. Pensate a uno smart working strategico: si va in ufficio quando serve, non quando si deve. Smart working non è però solo lavorare da casa: è anche dall’aeroporto, dalla spiaggia, dal bar, dall’hotel. È lavorare quando si può e vuole, quando si è più produttivi. Magari quel file XLS te lo compilo alle 3 di notte e alle 11 di mattina vado a fare la spesa. Se passa questo concetto, si pensa al lavoro, al business, ai clienti in modo strutturalmente diverso.
È un trend forse inevitabile e lo stiamo capendo da pochi segni decisivi. Un piccolo esempio personale: pochi giorni fa sono passato alle 18 sull’A4 in zona Cormano (Milano nord). Ero pronto alla solita coda estenuante, ma questa coda non c’era! C’erano solo piccoli rallentamenti, quindi ho più che dimezzato il tempo di percorrenza prevedibile in quel tratto.
Ripensandoci, ho ritenuto che … sì ci saranno anche dei fattori negativi (poca gente in giro = poco business) però ho colto soprattutto quelli positivi. A me non viene voglia, la domenica, di andare a Milano. Però nel nuovo concetto di ‘polis’, chi ci lavora (parzialmente, a causa dello smart working) avrebbe più voglia di farci un giro perché potrebbe vederla con altri occhi, non sicuramente con quelli di un pendolare costretto a respirare lo smog di una metropoli e non le emozioni che essa può offrire. Cambierebbe l’approccio alle città, che diventerebbero di nuovo aggregatori positivi con lo spirito sociale che un paesino di provincia faticherebbe a proporre.
Un cambiamento culturale
Amici del canale, siamo di fronte a un cambiamento culturale non indifferente che richiede bilanciamento di attività e riscrittura di accordi tra tutti gli attori coinvolti. Non tutti i settori, non tutte le aziende (soprattutto quelle piccole) sono oggi pronte al cambio di passo e a trovare il giusto compromesso. Mentre chiudiamo in un luogo, siamo pronti ad aprire in un altro? Il futuro è quello delle megalopoli o piuttosto di centri di medie dimensioni sostanzialmente autosufficienti, come sono oggi alcune medie città di provincia?
Ecco, infatti, un’altra domanda: quale è la dimensione giusta di una città? Magari 150mila abitanti? (Perugia, Reggio Emilia, Ravenna, Modena, Siracusa…) Negli Stati Uniti (stime 2019) ci sono 13 città sopra 900mila abitanti e poi altre 161 sopra 150mila. In Italia la stessa classifica dice che Roma, Milano e Napoli hanno più di 900mila abitanti ma è nelle prime 2 che si concentra la stragrande maggioranza delle attività di rilievo. A Napoli sono pochissime le realtà nazionali e internazionali; quindi l’Italia ha 2 soli punti di riferimento. Ce ne sono poi 24 altre sopra 150mila abitanti. Se il trend ci porterà alle dimensioni ‘medie’, assisteremo a imprenditori che non devono necessariamente mettersi a tiro di Tangenziale di Milano o di Grande Raccordo Anulare di Roma per operare a livello nazionale e internazionale, visto che le riunioni si faranno online il più possibile.
Assisteremo poi a una nuova organizzazione del lavoro e chi, come me, tratta anche temi di recruiting lo sa. Da un lato, i lavori potranno essere davvero ‘smart’ (basta che tu sia in grado di raggiungere l’ufficio o il cliente, in auto o treno o aereo, in 2-3 ore, tanto non ci devi andare tutti i giorni), dall’altro non si dovrà più lottare spasmodicamente per quei pochi talenti che abitano ‘vista tangenziale’, dall’altro ancora potranno esserci opportunità anche al Sud.
Infine, le aziende magari avranno i loro headquarter in luoghi piacevoli e potranno coniugare meglio smart working e presenza in ufficio, fidelizzando la propria forza lavoro. Pensiamo alle grandi aziende IT internazionali (IBM, HP, Dell, Microsoft, Accenture e via a scendere): quanti di loro hanno il loro HQ a Milano e provincia? Il 100%! Perché una nuova multinazionale che sbarcasse in Italia non potrebbe invece aprire a Pesaro? Adesso può! Mancano le persone qualificate a Pesaro? Forse oggi. O magari troveremo qualcuno disposto a spostarsi da Milano vista tangenziale a Pesaro vista mare!
In conclusione
Amici del canale, voi come vi state riorganizzando? State puntando al south working o almeno su una quota parte sostanziosa di smart working? I vostri prossimi annunci di lavoro prevedranno esplicitamente l’opzione smart working (totale o parziale)?
La nuova definizione di smart working è “vengo in ufficio quando serve”. È anche la vostra? Come questi cambiamenti stanno impattando i vostri clienti e di conseguenza anche le vostre aziende? Come state aiutando i vostri clienti a cambiare? Vi siete posti tutte queste domande? Le vostre risposte vi sembrano soddisfacenti? Ne vogliamo parlare?
[per leggere l’articolo sulla rivista clicca QUI]