Sta arrivando la fine del 2015 ed è ormai tempo di fare un bilancio tecnologico dell’anno che sta passando. Noi di BCLOUD vorremmo analizzare la situazione di OpenStack e, in generale, del Software Defined IT, per aiutare i nostri clienti e partner a pianificare al meglio il 2016.
Forrester Research, con la sua pubblicazione “OpenStack is Ready, Are You?”, ci dice che OpenStack ed il Software Defined IT è pronto per essere adottato nelle aziende.
Alla luce del grande consenso avuto dopo il rilancio del suo ebook quest’estate, e poiché siamo in procinto di aprire una nuova divisione tutta dedicata ad OpenStack, abbiamo deciso di parlarne con Giuseppe Paterno’, che è considerato da HP tra i migliori 30 consulenti al mondo ed è citato proprio da Forrester Reserch. Amministratore delegato di due aziende, la GARL e la Alchemy Solutions, è tra i candidati al consiglio di amministrazione della fondazione OpenStack e quindi tra i maggiori influencer del settore. Collabora con i più grandi brand mondiali come HP, RedHat, SuSE e RackSpace e i suoi clienti sono tra i più importanti dei settori telefonico e finanziario.
Prima di tutto una domanda che ci hai detto di non farti: ma tu dove vivi?
Questa è una delle domande più difficili ma è anche quella che mi fanno più spesso (sorride, ndr). Scherzando dico che ho la residenza in aeroporto, ma la realtà è che vado dove sono i miei clienti. Molto del mio tempo lo passo tra Londra e Zurigo, per poi tornare da mia moglie a Milano per il fine settimana, se non è lei a raggiungermi. Una vita piena di soddisfazioni ma piuttosto movimentata. Ho però la fortuna di avere una moglie paziente e ottimi collaboratori che mi aiutano nel quotidiano.
Quali sono le aziende che ti chiamano e quali sono i motivi per cui pensano di adottare OpenStack?
Direi che normalmente non vengo contattato da una sola tipologia di azienda, andiamo infatti dal telco al finance, dal manifatturiero all’ oil&gas o public utilities. Tipicamente vengo convocato dal CEO o dal CIO, e fra le diverse motivazioni, ne sintetizzo due che ritengo siano le fondamentali.
Il primo fattore è senza dubbio il risparmio. Spesso i clienti mi convocano perché il loro più grande “mal di pancia” è quello di diminuire i costi di licenza di VMWare o trovare una forma di storage più conveniente rispetto alle SAN più tradizionali, soprattutto in un mondo in cui i dati si moltiplicano a dismisura e l’archiviazione, anche per ragioni legali o di backup, diventa un problema quasi più grande dei dati aziendali effettivamente gestiti. Quando è questo il fattore trainante, bisogna capire se effettivamente OpenStack è la soluzione al loro problema, perché potrebbe bastare una virtualizzazione alternativa o l’uso di un software defined storage per aiutarli. In questo frangente il mio ruolo diventa un po’ quello dello psicologo, scavando all’interno dell’azienda per capire quali sono i problemi e le necessità reali. Sicuramente OpenStack ha dei vantaggi, anche se non sempre sono evidenti.
Il secondo motivo, anche se non è sempre chiaro dall’inizio, è l’agilità di business. Un mio cliente bancario in Inghilterra per esempio, impiega 120 giorni per fare il deploy di una singola VM. Anche in Italia non siamo da meno, alcune aziende ci mettono 60-80 giorni per fare il deploy sempre di una singola VM su VMware. Perché?? È presto detto: i processi interni sono così “ingessati” che per ogni operazione ci vuole un ticket e spesso per ogni operazione ci sono 3-5 giorni di SLA. La creazione della virtual machine, l’installazione di sistemi operativi, la configurazione delle reti, compliance, sicurezza, l’installazione dell’applicativo e del relativo database richiedono infatti almeno 3 giorni di lavoro. Inoltre, alcune grandi aziende fanno modifiche solo ogni tre mesi e questo aggiunge ulteriori gradi di complessità.
Molto spesso il marketing o i clienti interni vengono bloccati da questi processi, portandoli ad acquistare macchine su Amazon o altri provider. Questo aumenta potenzialmente i costi sul lungo termine senza avere una garanzia di compliance e senza avere la possibilità di adottare la stessa sicurezza interna. Con OpenStack possono avere la stessa flessibilità, ma localmente in “casa loro” e in tutta sicurezza. Spesso il mio ruolo in queste aziende è quello di aiutare il CEO e il CIO a ridefinire i processi aziendali in maniera più agile per rispondere alle crescenti necessità di un time-to-market sempre più veloce.
I vendor parlano spesso di adozione massiva di OpenStack. Avendo contatti con aziende di tutta Europa, tu hai un punto di vista sicuramente più neutrale. La situazione è veramente così? E nel caso, quali sono invece i motivi che ne frenano l’adozione?
Lavoro su OpenStack dal 2011 e mai come nel 2015 c’è stato tanto interesse e tante richieste di chiarimenti. Tuttavia l’adozione è molto lenta e molti sono ancora nella fase di Proof of Concept o di test interno.
E’ indubbio che i service provider e gli outsourcer sono stati i primi che hanno capito che prima o poi dovranno adottare OpenStack, in quanto dà ai loro clienti una piattaforma standard su cui interagire e sulla quale gli integrator possono sviluppare indipendentemente dalla piattaforma. Ora anche gli altri clienti stanno iniziando a capire che avere una standardizzazione dell’infrastruttura porta numerosi vantaggi, aperture verso il futuro e un incisivo snellimento dei processi interni. Anche se tutti i clienti percepiscono il valore di OpenStack, molte volte sono spaventati nel dover fare un salto nel buio verso una piattaforma più giovane rispetto a VMWare e che necessita di competenze molto elevate. Sul primo aspetto, aiuto e consiglio il cliente nella scelta della distribuzione OpenStack più adatta a lui con il supporto del vendor, qualora il cliente lo desideri, mentre sul secondo aspetto, io ed il mio team lo supportiamo nell’architettura e nella realizzazione, affiancandogli un partner locale per l’operatività quotidiana. Spesso l’accoppiata del mio vendor e del mio nome fornisce tranquillità e serietà nell’affrontare progetti così strategici.
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