Amici imprenditori e manager, la prima generazione di computer era particolarmente efficiente in compiti di tipo matematico, ad esempio fare calcoli complessi e memorizzare dati. Se occorreva calcolare quanto sarebbe stato resistente un ponte o programmare una serie complessa di consegne in area logistica, un computer diventava il modo più efficiente per affrontare il problema. E gli anni ’60 e ’70 ne sono stati trasformati. Siamo stati in grado di inviare razzi nello spazio e poi persone sulla Luna, progettare motori più efficienti ma anche fare calcoli assai più semplici che però era diventato noioso fare a mano o con la calcolatrice o il regolo.
La seconda generazione
La seconda generazione ha avviato l’economia della connessione. I computer ci hanno permesso di avvicinare le situazioni lontane. Il telefono, accoppiato al fax e poi alla mail, ci ha permesso il coordinamento remoto delle attività. Si poteva usare una carta di credito ovunque nel mondo, chiamare un numero verde per effettuare un ordine, attivare un servizio tramite un form web. La posta elettronica e Internet hanno portato alla creazione di database di grandi dimensioni. Sono nati Wikipedia, eBay, LinkedIn e PayPal. Ogni azienda ha avuto un sito web. Ovviamente abbiamo usato quanto imparato nella prima generazione ma la seconda ha, soprattutto, aggiunto connessione.
La terza generazione
La terza generazione ha combinato le prime due, permettendo però di scegliere luogo e tempo. Possiamo guardare su YouTube un film vecchio di vent’anni o partecipare a una videochiamata con qualcuno dall’altra parte del mondo. Possiamo delocalizzare le nostre attività. Una persona in un altro continente può ritoccare le nostre foto digitali perché gliel’abbiamo chiesto. Oppure dei programmatori indiani possono lavorare sugli algoritmi che abbiamo concepito sulla carta. Oppure delle sarte cinesi possono produrre abiti sulla base di cartamodelli (in realtà non più carta, solo modelli) italiani.
Ma non solo. Il vostro telefono sa dove vi trovate e chi è stato in quel posto prima di voi (meglio: lo sa il sistema centralizzato di cui il vostro telefono è la propaggine). Ovviamente, ogni generazione si basa su quella precedente, quindi, ad esempio, Google Maps è composta da aritmetica più dati più immissione dati remota più gestione della posizione.
La quarta generazione
Questa previsione non viene eseguita in una posizione centralizzata, proprio perché la generazione precedente ha portato a mettere computer ovunque. Quindi ora colleghiamo tutti i computer nel modo in cui collegavamo in precedenza le persone. Stiamo dando a quei computer la possibilità di fare previsioni (e prendere decisioni, o, quanto meno, dare suggerimenti che influenzano grandemente le nostre decisioni) basate su ciò che hanno fatto migliaia di persone prima di noi.
Per di più, ad ogni generazione, anche le precedenti generazioni migliorano. Database più sofisticati, algoritmi più evoluti, maggiore connettività, un numero più ampio e qualificato di persone che inviano dati, maggiore enfasi su ciò a cui siete connessi e state facendo. Se siete professionisti mediocri, il vostro lavoro è in pericolo. La rapida successione di questi cicli farà sì che l’intelligenza contenuta una rete di computer farà presto il vostro lavoro meglio di voi. Qualcuno chiama questo sistema “hive”, alveare, proprio come le cellette ordinate delle api che vanno a costituire un insieme complesso, intelligente, fortemente interconnesso e funzionale a un ben preciso obiettivo.
Siete pronti a far parte di un alveare? Ma soprattutto ne siete consapevoli? Ogni volta che inserite un dato, consciamente o inconsciamente (anche spostarvi di 10 metri con il vostro telefonino in tasca equivale a fornire dati, anche se non ve ne accorgete), accrescete quel gigantesco database che, di fatto, regola la nostra vita. Benvenuti, quindi, nella quarta generazione, quella dell’alveare. O buttate lo smartphone, vi scollegate da internet ed entrate in un eremo oppure siate consapevoli che fate parte dell’alveare. E ne fate parte attivamente, alimentandolo con i vostri dati.
È questione di algoritmi
Amici imprenditori e manager, fare parte dell’alveare è un po’ pericoloso (pensiamo, ad esempio, ai rischi correlati all’essere sempre connessi, ad esempio in termini di cybersecurity), ma è anche molto comodo. È comodo che Google Maps ci informi su quale è la strada migliore, anche perché, poco più avanti, altri utenti hanno scoperto prima di noi che c’era un incidente e quindi ci permetteranno di evitarlo. È anche comodo che un servizio di e-commerce ci suggerisca dei libri sulla base dei nostri gusti e di quelli delle persone simili a noi.
Alla fin fine parliamo di algoritmi. Di fatto, gli algoritmi decidono per noi, anche se pensiamo di essere noi a decidere. La verità è che, se c’è scarsità, occorre fare delle scelte. Chi viene assunto, quale sito web compare in cima ai risultati di ricerca, chi ottiene un prestito. Ai vecchi tempi, se c’era un problema, lo si esaminava e lo si affrontava. Insomma, si prendevano decisioni ad hoc, caso per caso. Oggi invece, per sempre più compiti e sempre più su larga scala, troviamo comodo affidarci ad algoritmi, traendo beneficio da una serie di passaggi precodificati, a inferenze ed euristiche decisionali che, apparentemente, diventano più sofisticate e precise man mano che si raccolgono dati e man mano che gli algoritmi si raffinano.
Imprenditori e manager, anche voi create algoritmi
Amici imprenditori e manager, non pensiate che creare algoritmi sia un compito solo di Facebook, Google e Amazon. Anche voi, quando definite procedure interne, ad esempio su quale cliente servire per primo o quale compito priorizzare o come e quando pagare le fatture dei fornitori, nel vostro piccolo create algoritmi.
È semplicemente diventato necessario. Io ad esempio ho creato algoritmi che aiutano le aziende nella scoperta dei talenti. Li possiamo creare virtuosi, informati ed efficienti oppure no. Possiamo costruire algoritmi consapevoli delle loro (piccole o grandi) conseguenze oppure no. Insomma, possiamo generare algoritmi per il bene della nostra azienda e dei loro collaboratori e clienti, oppure basati su rigide regole e burocrazie codificate quindi, di fatto, inconsapevoli delle conseguenze. Possiamo fare male o possiamo fare bene. Ne vogliamo parlare?
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