[ITA] [“Per Primo”] Data Center aziendali, difficile arrivare a quota zero

Cosa s’intende oggi per “Data Center Zero”? Sostanzialmente il fatto che, in prospettiva, con il progredire e migliorare dei servizi IT disponibili in cloud, le aziende potrebbero pensare di dismettere (in tutto, quindi riducendoli a “zero”, oppure solo in parte) i loro data center. Si passerà quindi dalla situazione attuale in cui ogni azienda gestisce il proprio (o i propri) data center a uno scenario assai diverso, in cui di proprietà o in gestione dell’azienda rimarrebbero solo i dispositivi client di vario tipo (PC, tablet, smartphone …, che peraltro potrebbero a loro volta essere noleggiati ed eventualmente anche gestiti da terze parti, riducendo quindi, di fatto, proprio a “zero” il panorama informatico di proprietà dell’azienda), la connettività di base verso Internet e infine i servizi cloud a cui connettersi e che si occuperebbero di tutti i compiti oggi in carico ai Data Center.

Ma l’ipotesi “Data Center Zero” è realistica? È solo da intendere come trend (e quindi va pensata come “a tendere”) oppure rappresenta un obiettivo concreto, più o meno vicino nel tempo? Se l’eliminazione totale del Data Center non è realistica, quanto vicino ci possiamo/dobbiamo/vogliamo arrivare? La verità è che, nell’epoca del computing on-demand, l’acquisto di hardware (in particolare di server e storage) da parte delle imprese è spesso considerato come uno spreco di denaro e una sorta di ingessatura. Se il prezzo del cloud computing continua a diminuire, le imprese non dovrebbero quindi abbandonare i loro server e storage e abbracciare la flessibilità dello “zero data center”? In molti casi, i CIO (e/o i CEO) che acquistano infrastrutture IT impongono infatti ai loro business il fardello di una “legacy istantanea”. Il punto è che le nuove necessità delle aziende, spesso anche in risposta agli stimoli di un mercato sempre turbolento, nascono più velocemente e i problemi software vengono risolti più rapidamente (considerando anche lo sbalorditivo tasso di nascita di nuovi servizi business basati sul cloud) di quanto l’hardware impieghi per diventare obsoleto o comunque per completare il suo ciclo di ammortamento.

Il costo di questi servizi cloud e dell’infrastruttura su cui si basano, è in rapido calo, e continuerà a scendere a mano a mano che i fornitori di servizi cloud faranno risparmiare più di quanto non lo facciano il ridimensionamento e l’automazione dei data center delle aziende. Premettendo che, in Italia, la connettività e disponibilità delle reti ad alta velocità è ancora relativamente limitata (e che questo è un sicuro freno verso lo spostamento ancora più massiccio verso il cloud), c’è quindi chi ritiene che, alla fine, il prezzo (aggregato: connettività + elaborazione + storage) dei servizi cloud scenderà a un punto tale per cui diventerà impossibile per le imprese competere sui costi con i migliori cloud pubblici. Fondamentalmente, da un punto di vista puramente economico, considerando le economie di scala che il cloud pubblico consente (e sempre più consentirà), le imprese saranno spinte a confrontarsi a un costo per unità di elaborazione e storage così basso da essere virtualmente irraggiungibile. Tenendo quindi conto di tutte le forze economiche in gioco (anche sul medio e lungo termine), alla fine i data center aziendali saranno considerati inevitabilmente antieconomici.

Ma credere che le imprese si sposteranno totalmente verso il cloud solo a causa di un fattore economico, significa ignorare una serie di questioni che vanno di là dal prezzo. Rimarranno, infatti, ragioni assai valide che premeranno per il mantenimento (anche se in forma probabilmente ridimensionata) dell’infrastruttura on-premise, anche se si trattasse di un’ipotesi più costosa, per via di specifiche necessità legate al business. Pensiamo ad esempio alle restrizioni normative, come quelle che impediscono la conservazione dei dati in alcuni paesi o continenti. Altri puntano il dito contro la perdita di controllo indotta dall’adozione dei servizi cloud: “Chi avrà accesso ai nostri dati?”, “Quanto durerà la disponibilità a del servizio nel lungo termine?”, “Sarà sempre possibile accedere ai dati quando ce n’è bisogno?”.

La perdita di controllo riguarda anche la certezza di come funzioneranno i sistemi. Le tecnologie alla base dei servizi cloud sono spesso opache e quest’ambiguità può lasciare gli utenti in balia dei capricci (o semplicemente delle vicissitudini o cambi di strategia) delle terze parti. A volte, usando il cloud pubblico, si scopre che la gestione dei picchi di carico comporta particolari accortezze, ad esempio di dover preallertare il fornitore in situazioni specifiche oppure di dover attivare opzioni particolari (cosa che peraltro dovremmo fare anche per soluzioni “in house”) in certi casi. Usando il cloud pubblico, si tende spesso a ignorare il problema e quindi a comportarsi come se esso avesse elasticità infinita, il che non è sempre un risultato possibile da ottenere. Le aziende che hanno traslocato in toto sul cloud, come ad esempio il servizio di video on demand Netflix, ospitato su AWS, hanno ovviato in parte a questa problematica costruendo architetture in grado di gestire gli errori senza interrompere i servizi per l’utente finale, ad esempio provocando regolarmente situazioni critiche per controllare in che modo rispondono i sistemi.

In ultima analisi, i sostenitori del pensiero “zero data center” prendono in considerazione primariamente il fattore economico rispetto al complesso mix di necessità di molte aziende. Probabilmente non si arriverà mai al punto in cui il cloud pubblico sarà più conveniente in qualsiasi situazione, e quindi che tutto debba transitare nel cloud, bensì ci saranno sempre situazioni in cui una soluzione ibrida sarà non solo necessaria, ma anche auspicabile.

La conclusione è quindi che “data center zero” è un po’ un sogno proibito. Però quello che è certo è che la strada è tracciata. “Data Center zero” non sarà quindi una situazione universale, ma costituirà senz’altro un traguardo a tendere. Alcune domande per voi: potete ridurre il numero dei data center, ad esempio consolidandoli da 4 a 3? Potete mantenere il data center in azienda, ma ospitare il disaster recovery in cloud? Potete semplicemente far dimagrire il nostro data center, spostando alcune funzioni in cloud? Se a zero non ci possiamo arrivare, possiamo almeno puntare a dimezzare il problema?

2 Comments

  1. Marco Bonfà September 3, 2015
  2. Primo Bonacina September 3, 2015

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