Amici del canale, ho fatto il relatore in centinaia di convegni e riunioni, aziendali e pubblici e una cosa ormai l’ho capita: il lavoro di un oratore non termina mai. Non si può mai smettere di approfondire la propria competenza su un argomento, proprio perché la vera conoscenza di un soggetto è il risultato del lavoro di una vita. Non si può quindi mai finire di perfezionare una presentazione (e nemmeno un articolo, se non per il fatto che il caporedattore lo vuole per domani …). Perfino il discorso di Martin Luther King “I Have a Dream” si ritiene che presenti alcuni lapsus, ed è considerato uno dei migliori discorsi del secolo scorso! In realtà, è impossibile definire un qualcosa come “il migliore possibile” proprio perché domani, se saremo competenti e perseveranti, riusciremo a costruire qualcosa di ancora più bello.
Quindi qualsiasi cosa faremo, si può essere sicuri che sarà imperfetta, ovvero che sarà ancora perfettibile. Parlando dei nostri speech, dobbiamo poi essere consapevoli che non ci si può mai “collegare” perfettamente col proprio pubblico. Loro sono essere umani come noi e hanno le loro priorità, le quali spesso divergono dalle nostre. La loro attenzione sarà quindi sempre parziale, e anche se tu come oratore sei perfettamente presente, coinvolto e stai facendo un lavoro eccellente, solo una certa percentuale del tuo pubblico sarà in grado di apprezzarlo appieno. Nel caos comunicativo di oggi (a cui questo articolo si aggiunge e quindi contribuisce …) la comunicazione diventa sempre più parziale, imperfetta e problematica. Il rumore si sovrappone al segnale, e quindi il lavoro del comunicatore diventa sempre più arduo. Ma se fai bene il tuo mestiere in tre aree, allora potrai prendere vacanza per il resto della giornata, contento di aver fatto un buon lavoro. Quali sono quindi queste tre aree?
In primo luogo, la struttura.
Non è sufficiente tuffarsi nell’argomento e condividere con chi vi sta di fronte la vostra esperienza e conoscenza. E’ anche vostra responsabilità dare al pubblico un modo di riflettere su quello che state dicendo, e quindi poi di ricordarlo e renderlo utile. Questo è noto come “tassonomia”, ovvero struttura. Non deve essere necessariamente un qualcosa di complicato. Basta ad esempio inserire nello speech tassonomie come “I cinque modi per pelare le patate”; “I tre tipi di Golden Retriever”; “I sei segreti del marketing online”, e così via. Se non stai fornendo al tuo pubblico non solo la conoscenza, ma anche un po’ di “conoscenza circa la conoscenza” (e quindi se non stai aiutandoli a capire le regole del gioco) non stai facendo al meglio il tuo lavoro. E, se notate, questo articolo si intitola: “Parlare in pubblico: ecco tre regole base!”
Dare al pubblico una struttura per ricordare la tua esperienza e conoscenza è essenziale per aiutarli a fissare quello che state dicendo. Ecco per voi una semplice regola che può apparirvi ad un primo approccio un po’ strana: bisogna dare al pubblico una tassonomia, ma una sola! Non appena ci si immerge in un secondo livello di discussione (“I quattro modi in cui il primo dei cinque metodi per aumentare la durata della vita può essere applicato”), ovvero in un sottoinsieme della tassonomia, il pubblico comincia a perdere la concentrazione. Il nostro cervello semplicemente non può gestire con facilità più impostazioni alla volta e quindi tende a scollegarsi, lasciando da solo per strada l’oratore sovrabbondante, confuso o poco strutturato.
In secondo luogo, l’emozione.
Diversi tipi di pubblico vogliono cose diverse. Si dice che “più grande è il pubblico, più vuole ridere; più piccolo è il pubblico, più vuole emozionarsi”, ma in realtà tutti gli spettatori vogliono entrambe le cose. Se non si ottiene un contatto emotivo con loro, non ricorderanno nulla.
Il modo con cui noi ricordiamo consiste nel collegare le emozioni ai fatti. Senza l’emozione, manca il collegamento. E’ quindi perfettamente possibile partecipare a una riunione di lavoro priva di qualsiasi coinvolgimento e non ricordare più nulla qualche giorno più tardi. Non è disattenzione, è solo il modo come siamo fatti.
In terzo luogo, la profondità.
I discorsi in pubblico sono raramente il luogo ideale per grandi approfondimenti, ma dovreste dare al vostro pubblico un’idea su cosa significa andare in profondità in un qualche aspetto su quello che si sta comunicando loro, anche se è solo per dire: “Questo è quello di cui si potrebbe parlare, ma ho solo il tempo per discuterne un paio di punti”. Si sta quindi semplicemente suggerendo, abbozzandola, quale è la vostra conoscenza in materia e potrete quindi invitare la vostra audience a contattarvi più tardi per approfondimenti.
Una tecnica ancora migliore è quello di raccontare una storia puntuale che delinea ed esemplifica la profondità e complessità del tema. Ciò aiuta il pubblico a valutare e capire ciò che ha imparato, e che cosa non ha ancora imparato, ovvero a capire a che livello di dettaglio si è potuti arrivare durante il discorso.
Vi ho dato solo tre semplici e basilari compiti da completare. Non vi aiuteranno a fare un discorso perfetto, ma lo renderanno forse più soddisfacente.
PS: vuoi migliorare i tuoi “presentation skill”? Parliamone!