L’eccessiva attenzione alle mosse delle altre aziende può rivelarsi persino controproducente. Una sana concorrenza può invece elevare la soglia della qualità e produrre effetti positivi. In azienda occorre inoltre evitare di avvalorare le lotte intestine tra dipendenti: meglio puntare sul team
Amici del canale, un giorno mi capitò di leggere un annuncio pubblicitario che recitava pressappoco così: “Abbiamo molti concorrenti ma nessuna concorrenza”. Interessante. Voi conoscete i vostri concorrenti? Certamente sì. Eppure troppo spesso le aziende investono un sacco di tempo ad analizzare le tattiche e le motivazioni dei concorrenti. Dedicare il tempo e le energie di risorse preziose ai concorrenti significa lusingarli. Il concorrente che venisse a sapere di essere considerato una seria minaccia, metterebbe in campo degli espedienti al solo scopo di alimentare la vostra preoccupazione.
I concorrenti si beano al pensiero che li consideriate tali. L’obiettivo principale di un concorrente è distrarre voi dai vostri obiettivi. La concorrenza è invece qualcosa di diverso. La concorrenza serve, infatti, a innalzare l’asticella sulla quale misurate l’efficacia dei vostri piani di crescita. La vera concorrenza sono coloro che vi ricordano che potreste fare bene come loro. La famosa cantautrice rock degli anni ’60 Janis Joplin, che ha incarnato questo ideale nei 27 anni della sua breve vita, espresse bene il concetto con una sentenza lapidaria: “Non scendere mai a compromessi. Tu sei tutto quello che hai.”
I concorrenti evocano emozioni negative come l’invidia, la rabbia e la paura, provocando la vostra reazione. La concorrenza evoca invece emozioni positive quali il rispetto e l’ammirazione. I concorrenti sono aziende o persone che vogliono le stesse cose che volete voi, mentre la concorrenza sono tutti coloro che fanno ciò che vorreste fare voi. L’ossessione per i concorrenti vi spingerà in una specie di abbraccio negativo, mentre l’attenzione alla concorrenza vi mostrerà la strada da percorrere per crescere. Ho letto una storia di un manager che era orgoglioso dei suoi due dipendenti, super competitivi e sempre in lizza tra loro. Incoraggiò la loro rivalità, convinto che, così facendo, li avrebbe stimolati a puntare su obiettivi più elevati.
Col tempo questa continua spinta alla prevaricazione divenne insostenibile e fomentò l’insorgere di un continuo pettegolezzo e, in alcuni casi, di azioni di sabotaggio. Il manager razionalizzò la situazione che si era venuta a creare pensando che, in fondo, gli uomini sono simili agli animali, ed essendo la supremazia sul gregge, una normale espressione dell’istinto di sopravvivenza, fosse inevitabile. Ma a differenza degli animali, cui è possibile evolversi solo biologicamente, gli esseri umani sono capaci d’introspezione e pertanto possono migliorare. Se i due membri del team avessero accettato la competizione tra di loro, o con i colleghi e i superiori in azienda, avrebbero scoperto delle qualità che sarebbe valsa la pena emulare. Riconoscendo all’altro solo il ruolo di concorrente, non hanno spinto oltre lo sguardo, riducendo il tutto al livello di un gioco in cui è necessario vincere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo.
Parlando di cose che ho vissuto in prima persona, nel passato ho lavorato in una multinazionale, dove avevo la chiara impressione che il mio collega fosse il mio primo concorrente. E d’altra parte come dargli torto: in un momento in cui le assunzioni di nuovo personale erano bloccate, chi altro poteva ambire a qualsiasi nuovo posto direzionale (quando si fosse aperto), se non il collega al tuo fianco. E quindi ostacolarlo e denigrarlo era un mezzo di mettergli i bastoni tra le ruote. In sintesi: il tuo primo amico, ovvero il collega che doveva essere al tuo fianco, diventava potenzialmente il tuo acerrimo nemico. Pensate se questa tattica fosse applicata a un gruppo di marines: quella collina non la prenderebbero mai!
La stessa azienda aveva poi la strana consuetudine di dare un ranking ai dipendenti di un dipartimento e di accompagnare alla porta coloro che risultavano nei percentili più bassi di valutazione. Quindi non i “cattivi” (in senso assoluto, ovvero quelli incapaci di dare un contributo al business dell’azienda), bensì quelli “classificati come peggiori”. E quindi non era importante essere validi: era importante essere (o apparire) meno peggio del collega. Un’idea veramente grandiosa!
Insomma, con i concorrenti non si può fare altro che cercare di superarli, dal momento che ambiscono allo stesso premio che volete voi. La competizione, se riconosciuta come tale, vi permetterà di chiarire quali siano i vostri obiettivi e i metodi da utilizzare per raggiungerli, stimolandovi a fare vostre abitudini e caratteristiche che potrebbero migliorarvi. Qualsiasi azienda o persona capace di spronarvi a raggiungere più velocemente ciò che potreste diventare, non è un concorrente. Voi, meglio di chiunque altro, potete stimolarvi a migliorare rispetto alla settimana scorsa, all’anno scorso o anche solo a ieri. Una sala multicinema può essere un concorrente del vicino museo della scienza, ma non potrà mai essere in competizione diretta con esso (e però può imparare qualcosa da esso).
Concludiamo con una (presunta) perla di saggezza. Un proverbio cinese ricorda che quando si decide di competere senza sapere con chi si è scelto di farlo, non solo si è destinati al fallimento ma ci si potrebbe esporre a un pericolo: “In acque poco profonde, i gamberetti sono più pericolosi dei draghi.”