I mezzi di comunicazione digitali sono sempre più in grado di influenzare la cultura di massa. Ecco qualche consiglio su come le aziende devono giocare la propria sfida comunicativa in un contesto profondamente mutato rispetto al recente passato.
Amici del canale, come dice il guru Seth Godin, i media sono in grado di cambiare la nostra vita, plasmano le nostre aspettative, le nostre conversazioni e la cultura di massa. Ma qual è il motore dei media? È la pubblicità, che però può assumere due forme: pubblicità del marchio e pubblicità “diretta”. La pubblicità del marchio non è in genere direttamente misurabile ed è quella che vediamo ovunque, quella che ci viene in mente quando pensiamo a un classico annuncio pubblicitario: un manifesto, una réclame televisiva, un gadget promozionale…
La pubblicità diretta (detta anche “direct marketing”), invece, si basa su specifiche azioni che il consumatore dovrebbe compiere ed è tipicamente misurabile: televendite, cataloghi di vendita per corrispondenza e varie forme di mezzi di comunicazione digitali (“dammi i tuoi dati e ti fornirò questo interessante white paper …”) costituiscono forme di marketing diretto. Ci vuole un po’ di coraggio (o magari di incoscienza?) per essere un “brand marketer”, ovvero per spendere decine di migliaia di euro per l’acquisto di un’intera pagina su un quotidiano nazionale. Quanto rende un investimento di questo tipo? Quanto rende una campagna pubblicitaria da tre milioni di dollari durante il Superbowl? Non si sa. Nessuno veramente lo sa. I brand marketer non fanno calcoli, bensì concentrano la loro attenzione sulla possibilità di influenzare la cultura di massa. Per un direct marketer, invece, i calcoli sono fondamentali. Quanto rende quest’annuncio? Quante persone hanno utilizzato questo buono sconto? Quanti clic abbiamo accumulato?
Se fai marketing o se ti occupi di media, questo è un po’ il dilemma dei nuovi media online: non si capisce se si pubblicano annunci che fanno pubblicità a un marchio o se fanno pubblicità diretta; e spesso neppure chi acquista lo spazio per gli annunci riesce a stabilirlo. Quando nasce un nuovo media, i primi ad arrivare sono i brand marketer. I primi ad acquistare banner, podcast o spazi pubblicitari su Facebook sono stati i marchi con denaro da investire nelle nuove forme di comunicazione multimediale molto apprezzate dai primi utenti. In una fase successiva, i media online si sono lasciati sedurre dai direct marketer: questi dispongono sempre di denaro da investire se gli annunci si ripagano. Il problema è che i direct marketer non si curano del mezzo di comunicazione, ma solo della risposta, per cui c’è un abisso tra gli obiettivi editoriali del mezzo di comunicazione (un podcast importante, un sito o blog autorevole, un giornale famoso) e quelli del direct marketer (la misurazione dei clic).
Proviamo a considerare il seguente aspetto: il miglior tipo di marketing diretto è il cosiddetto “permission marketing”, vale a dire annunci il cui obiettivo sono gli annunci stessi. Tali annunci non solo sono altamente misurabili, ma rappresentano il fulcro dell’esperienza online: annunci economici, portali di lavoro, cataloghi, coupon nell’edizione di un quotidiano, pagine gialle, Google AdWords... sono tutte forme di pubblicità misurabile. I migliori mezzi per pubblicizzare un marchio, d’altra parte, sono quelli che informano e intrattengono le persone nonostante gli annunci pubblicitari, e NON grazie ad essi. Podcast, notiziari, blog e riviste spesso fanno della presenza degli annunci il loro sostegno al business, eppure non sono gli annunci ad alimentare la diffusione del prodotto, ma esattamente il contrario.
Ecco due scenari possibili:
- Se una società di media desidera farsi una reputazione tale da attirare brand marketer, non deve cercare a tutti i costi di totalizzare più clic possibili. Tutt’altro. I direct marketer la incoraggeranno a sviluppare l’equivalente di annunci economici o Google Adwords: annunci che gli utenti desiderano vedere proprio perché sono annunci. Questi rappresentano la forma di marketing diretto più efficace, poiché chi li guarda vuole realmente guardarli: è una forma di permission marketing, e si può dire che funziona. Chi cerca risultati a breve termine non crea podcast incisivi e il ricorso massivo ai popunder cliccabili (le finestre che si aprono dietro il browser) ha messo in difficoltà molti siti Web affermati.
- Quando si acquista un annuncio pubblicitario, lo scopo di tale annuncio deve essere ben chiaro. La possibilità di contare i clic non implica la necessità di farlo. È questa via di mezzo tra pubblicità diretta e pubblicità del marchio a generare frustrazione, sia per chi acquista l’annuncio che per le società di media.
La sfida:
- Se una società di media (in particolare un sito Web o un podcast, ma anche una rivista o un evento) è affamata di pubblicità, ben presto finirà per essere contattata dai direct marketer, i quali la spingeranno a sacrificare la reputazione consolidata con i lettori e i frequentatori allo scopo di aumentare il numero di clic, offrire più coupon da riscattare e ottenere maggiori risultati nel breve termine. Non bisogna dimenticare che questi inserzionisti non sono sponsor che pensano alla reputazione o ai clienti a lungo termine della società a cui si rivolgono, ma sono direct marketer che si volatilizzeranno quando avranno trovato una fonte di guadagno migliore. È questo il lavoro del direct marketer.
- Se sei un direct marketer, i tuoi colleghi ti spingeranno a creare annunci più allettanti per i brand marketer, ma in questo modo non andrai da nessuna parte: non farai presa sulla cultura di massa come un vero brand marketer e non otterrai neppure i risultati sperati.
I media che influenzano la cultura di massa non sono stati inventati dai direct marketer e neppure per i direct marketer. Ora che i mezzi di comunicazione digitale riescono a influire significativamente sulla cultura di massa, saranno sempre di più le società di media che cercheranno di guadagnare con i direct marketer.
Vi ho dato qui alcuni spunti. Avete altre idee al riguardo? Simili o diverse? Se è così, vi do il benvenuto sul mio blog. E, da lì, ci potremo anche incontrare o parlare di persona.
Primo Bonacina: mi occupo d’informatica dal 1984. Ho lavorato con ruoli di responsabilità per molte aziende, spesso multinazionali: tra le più note: 3Com, Tech Data, Magirus (ora Avnet), Microsoft, Acer. Nel 2014 ho creato un’azienda di consulenza commerciale, marketing e manageriale (PBS – Primo Bonacina Services) che si occupa di favorire il business delle aziende IT. Se vuoi, seguimi sul mio blog (www.primobonacina.com)