Amici del canale, nelle località caratterizzate da un’intensa attività estrattiva dell’oro oppure del petrolio, si è sviluppata nel corso degli anni una cultura decisamente diversa da quella propria degli altri luoghi. Si può definire “mentalità dell’estrazione” quella che si genera negli ambienti in cui i profitti derivano da risorse cui si ha libero accesso. Che si tratti di oro, carbone, biglietti o istruzione, non fa differenza: la mentalità è la stessa.
Ma il nocciolo della questione non è il materiale di cui stiamo parlando, sia esso oro o petrolio o altro, bensì la prospettiva con cui si affronta un mercato. Si sa che l’oro o il petrolio sono risorse limitate e che per questo c’è una vera e propria corsa per accaparrarseli. E se non lo fate voi, ora, qualcun altro lo farà al posto vostro. Che senso avrebbe lasciarlo lì? Bisogna appropriarsene il più possibile, assicurandosi che non siano altri a farlo. E attenzione: quando le risorse si saranno definitivamente esaurite, passate oltre. Rivolgetevi a un altro settore, guardate a un nuovo mercato, a una nuova miniera. La visione di questo settore è la seguente: tutto quello che rallenta, impedisce o interferisce con l’estrazione non è altro che una sfida da affrontare e superare, un ostacolo da eliminare.
I debiti che le aziende minerarie contraggono per finanziare gli scavi amplificano ancora di più questa necessità impellente. E così alcuni produttori fanno a gara per scavare pozzi più profondi e prendere l’ultima acqua (o petrolio, o altro) rimastavi poiché, se non lo fanno, l’ipoteca sulla loro attività potrebbe spazzarli via dal mercato. Allo stesso modo le società pubbliche fanno a gara per massimizzare i propri profitti di breve periodo (e, purtroppo, i bonus dei CEO), per quanto questo possa essere talvolta penalizzante nel lungo periodo.
Una volta hanno chiesto a un organizzatore di grandi eventi rock, la seguente domanda: “Data la straordinaria velocità con cui un concerto delle tue star registra il tutto esaurito, perché non ne approfitti aumentando il costo del biglietto?” “Beh, certo potrei farlo”, è stata la sua risposta. “Ma il punto fondamentale è che i miei clienti hanno un budget limitato da spendere per i concerti. E se aumentassi il prezzo del biglietto per un singolo evento, stai pur certo che non potrebbero permettersi di partecipare ai concerti successivi… “. Questo impresario non stava quindi semplicemente rendendo i suoi guadagni più duraturi nel tempo. Piuttosto stava investendo in una comunità che aveva le potenzialità di sviluppare un’abitudine sociale per la musica, costruendo quindi con loro un rapporto duraturo. Per dirla alla Kevin Kelly: prima di tutto nutrite la rete.
La rete è al vostro servizio?
Ovviamente la rete (la comunità, l’audience, i social network che ci ascoltano … insomma tutte quelle entità un po’ astratte e un po’ concrete là fuori dalla vostra azienda) non è propriamente e necessariamente al vostro servizio. La rete non fa sempre ciò che volete, nei tempi, modi e quantità che volete. Però il divario tra la mentalità dell’estrarre e quella a essa alternativa del nutrire diventa più drastico nel momento in cui le reti (sia quelle che si trovano online, che quelle ambientali o addirittura tribali) acquistano potere e rilevanza.
Si tratta di un divario talmente profondo che le due parti contrapposte fanno fatica anche solo a immaginare ciò che l’altro pensa. Alcune persone provano a fare rete per le vie brevi, scrivendovi per email o contattandovi attraverso i social media (Volete scrivere del mio prodotto? Volete finanziare il mio progetto? Volete comprare il mio prodotto? ecc.), proprio con una mentalità estrattiva, mentre altri, armati di santa pazienza, intessono nel tempo una serie di legami, comunanze, significati.
Scegliere oggi un percorso che non porti al massimo valore immediato è costoso ed estremamente dispendioso in termini di tempo (inteso in termini anche di anni). Salvo che non cerchiate di fare i conti con ciò che accadrà domani (inteso in termini anche di anni). Come sarà la rete (delle relazioni che avrete saputo tessere) domani? Più o meno produttiva? Come sarà la rete domani, più fiduciosa o più sospettosa? Come sarà la rete domani, più sana o più malata?
La promessa alla base dell’economia connessa era quella di premiare i migliori, coloro che s’impegnavano nel lungo periodo, le persone che avevano a cuore l’idea di contribuire. Ma il paradosso è che una simile economia iperconnessa (dove tutti sono a distanza di un click da tutti) ha generato uno spazio colmo di persone talvolta avide e frettolose, che perdono facilmente l’attenzione e il rispetto, dipendenti da oggetti luccicanti e che troppo spesso si lasciano influenzare da eventi sensazionali di breve periodo o da profitti a breve termine. La mentalità estrattiva conduce quindi spesso a decisioni furbe e opportunistiche nel breve periodo. Se sfruttare una risorsa è troppo costoso, si passa alla successiva. Mentre la mentalità della rete valuta gli impatti che processi di co-creazione hanno nel lungo periodo.
Parlando di lungo periodo, vi vorrei dare un esempio molto concreto e personale. Da fine 2014 gestisco un mio sito e blog (www.primobonacina.com) su cui scrivo quasi giornalmente (almeno 20 articoli al mese). Il mio obiettivo è che questo sito diventi un punto di riferimento per il mercato, costruendo una rete di lettori fedeli e di clienti interessati ai temi che intendo proporre. Come posso valutare il successo di una iniziativa di questo tipo? Da un lato (indirettamente e in maniera non facile da misurare) nel business che genera, dall’altro (più direttamente e più facile da misurare) nella sua readership. Ho quindi deciso di considerare il numero di pagine lette come prima metrica fondamentale (ce ne sono poi ovviamente altre). Quindi, secondo questa semplicissima metrica, un lettore che legge 100 pagine vale 100, 100 lettori che leggono 1 pagina, valgono ancora 100. Nel primo caso, probabilmente sto costruendo una relazione (e in prospettiva un’opportunità di affari) con un singolo lettore interessato, nel secondo caso sto comunque portando 100 persone diverse a casa mia, fosse solo per un minuto ciascuna.
Un altro modo di certificare il successo di un sito è tramite l’indice di Amazon Alexa (http://www.alexa.com/) che calcola la readership di un sito. Mentre scrivo il mio sito è all’incirca in posizione 2.5M a livello mondiale (quindi fa parte dei primi due milioni e mezzo di siti più visti). Considerando che al mondo ci sono circa 1 miliardo di siti, essere così in alto è tanta roba. Però la cosa interessante è che ci ho messo due anni ad arrivare stabilmente nei primi 3 milioni, ovvero al livello di attenzione che avevo stimato come interessante. Il messaggio spero vi sia chiaro: sono serviti due anni di duro lavoro giornaliero per arrivare al risultato prefissato. Non certo quindi un approccio da prendi i soldi e scappa (oppure estrai l’oro dalla miniera e passa oltre). Insomma, per dirla sempre come Kevin Kelly, con pazienza, ho nutrito la rete.
E voi che ne pensate?
Amici del canale, sarebbe bello avere una vostra opinione a riguardo: quale è la strategia migliore promuovere il vostro brand e quello della vostra azienda? Avete un’attività continuativa sui social? La vostra azienda sa nutrire la rete? Sa ingaggiare una comunità? Sa costruire pazientemente delle alleanze? Ha un Social Media Manager (interno o magari esterno, e quest’ultima è l’opzione che è spesso costa meno e rende di più)? Scriveteci e parliamone (oppure contattatemi tramite la rete).
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