Social recruiting è ormai una “keyword” sulla bocca di tutti: aziende di selezione, cacciatori di teste, responsabili HR, lavoratori. Eppure spesso l’espressione è usata in modo improprio. Per capire che cos’è davvero il social recruiting, ho deciso di intervistare un professionista indipendente che ha messo a punto un metodo originale, chiamato “PBS Talent”, coniugando social media marketing e recruiting. Si chiama Primo Bonacina e questo è il suo sito Web
Ciao Primo, il settore del recruiting sta cambiando velocemente. Da un recente studio emerge come il 45% dei recruiter dichiari che fare recruiting oggi è più difficile rispetto agli ultimi anni. Come la vedi?
In realtà oggi non è più difficile, ma più complesso. Nel senso che mentre si fa recruiting è necessario prendere in considerazione una molteplicità di fattori in contemporanea, e questo aumenta il grado di complessità. In particolare da un lato sono cambiate le esigenze e le attese dei candidati; dall’altra si sono evolute le competenze richieste per fare il recruiter.
In questo scenario, qual è stato il ruolo del digitale?
L’avvento del digitale ha mutato radicalmente il rapporto tra candidato e azienda. Ora i candidati si aspettano meno filtri e un rapporto più diretto con i referenti aziendali. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda la generazione dei Millennial, sono cambiati i valori: la nuova generazione si aspetta di gestire in modo differente sia il tempo sia gli spazi di lavoro, ma anche i device. Vorrebbero poter lavorare da casa e condividere i propri device personali anche al lavoro. La sfida che attende i responsabili delle risorse umane nei prossimi anni è significativa, perché dovranno gestire in azienda almeno due generazioni, quelle di cui parlate in questo libro, con esigenze e aspettative molto diverse.
Come è cambiato il profilo del recruiter?
Una volta il profilo ideale di un recruiter era quello di uno psicologo del lavoro, con forti competenze soft, come l’ascolto e l’empatia. Oggi invece il profilo di molti recruiter è più vicino al mondo del marketing e della comunicazione: ogni campagna di recruiting richiede di fissare degli obiettivi, impostare una strategia di marketing, tracciare un piano operativo e scegliere tra le diverse tattiche di recruiting, spesso mutuate dal marketing digitale. In questo senso le digital skill saranno sempre più necessarie per governare la complessità cui accennavo prima.
In questo scenario, come aiuti le aziende a trovare i lavoratori?
La mia è un’iniziativa consulenziale specializzata per il mercato IT e Digital, con focus anche sulle risorse umane. È infatti oggi critico riuscire a ingaggiare le persone giuste, in tempi brevi e certi, con costi contenuti. Attenzione, ci tengo a precisarlo: PBS non è un’agenzia di ricerca e selezione, anche ai sensi di legge. Sono invece un manager con importante esperienza IT e Digital e oggi un consulente specializzato nella comunicazione tramite social network.
In concreto, come trovi le persone giuste?
La mia proposta, che chiamo “PBS Talent”, è tutto sommato semplice. Ascolto le esigenze dell’azienda per produrre rapidamente un piano di lavoro corredato da documenti efficaci. Tramite il mio network, inserzioni mirate e i social media, in 12 giorni lavorativi (garantiti) costruisco la short list dei candidati più adatti. Per ognuno produco un dossier, composto da CV, application form, intervista scritta, profili social, situazione salariale, referenze, autopresentazione audio o video. Tutto questo a un costo fisso concordato con l’azienda.
Come ti è venuta l’idea di puntare sul social recruiting?
Questo progetto è nato nel 2015 e quindi ha adesso già alcuni anni di vita, con al momento oltre 50 incarichi. Questa metodologia è nata da concrete esigenze dei clienti. Parlando con i referenti aziendali, sentivo sempre le solite frasi:
- “Non troviamo mai il tempo di metterci a cercare le persone”
- “Assumiamo, ma con tempi lunghi e senza continuità”
- “I nostri Business Manager non hanno mai tempo di esaminare i CV”
- “Cercando le persone tramite HR e BU interne, spendiamo troppo tempo e risorse preziose”
- “Talvolta il team HR fa fatica a parlare la stessa lingua delle BU”
- “Le agenzie di ricerca e selezione sono costose, impegnano troppo del nostro tempo, non sono specializzate, non conoscono il nostro business e le nostre competenze. Mi affiderei a un’agenzia di selezione solo se fossi certo di incontrare la «persona» giusta”
- “Ho chiesto in giro se conoscono qualcuno: spero mi arrivino delle segnalazioni, ma non ci conto, e comunque ne ho bisogno in tempo utile”
- “Abbiamo pubblicato un annuncio sul nostro sito, ma senza grande e immediato successo. Non sappiamo ben pubblicizzare il fatto che cerchiamo continuamente persone e che siamo in salute e in crescita: ci serve una campagna di marketing in area risorse umane: ma LinkedIn è un mare magnum: non abbiamo il tempo di cercare e scremare le candidature”
- “Vogliamo assumere solo persone in linea con la nostra cultura aziendale”
- “Alla fine abbiamo assunto qualcuno, ma non siamo certi che fosse la scelta ottimale!”
Tutti problemi, questi, a cui c’era già risposta: social media marketing. In Rete ci sono i CV(LinkedIn) e le referenze, in Rete si trovano modelli e metodologie. Basta quindi creare un sistema che risponda veramente alle esigenze dell’azienda: poter avere concreta soluzione al problema del recruiting di professionisti e manager con qualità, risultati, tempi, costi, impegni di risorse interne garantiti e soddisfacenti.
Qual è la parte principale di tutta questa procedura?
Il punto centrale della metodologia è l’intervista scritta ai candidati. Questo è un punto davvero dirimente. Pensate a cosa succedeva in passato: l’ufficio risorse umane pubblicava l’annuncio (scritto spesso secondo gerghi aziendali e non secondo le “best practice” di mercato), riceveva i CV, molti li scartava e ne intervistava solo alcuni. Poi portava due o tre candidati al top management per l’intervista finale. Questo metodo ha molti limiti:
- Non sempre l’annuncio era chiaro ed esaustivo.
- Non sempre il referente HR era una persona di business, capace di dialogare col management e le BU.
- Ci voleva tempo per le prime interviste “de visu” e comunque l’HR poteva vedere un numero limitato di candidati, “in serie” e non “in parallelo”.
- Alla fine al top management arrivavano pochi candidati, su cui forzatamente scegliere, con il rischio di ricominciare tutto da capo.
Come detto, invece, il punto centrale della metodologia è l’intervista scritta ai candidati. In altre parole tutti i candidati “credibili” vengono invitati a cimentarsi “in parallelo” con una intervista scritta secondo un format testato, chiaro ed esaustivo, con domande precise e risposte verificabili. Questa intervista aiuta a far rimanere traccia (a differenza dei colloqui orali dove ognuno prende i propri appunti) e funge da sicuro elemento di riferimento soprattutto in caso d’incontri scaglionati nel tempo.
E se qualcuno dei candidati ti dice che non ha tempo e voglia di rispondere a un questionario?
Meglio, aiuta nella scrematura! Chi non aveva capito che tipo di lavoro era, chi “non ne ha voglia”, chi non si “degna” di compilare un’intervista, o la compila “così tanto per farlo”, o non hanno o non trovano il tempo, o perdono la mail, o se la dimenticano, o non leggono le avvertenze… bye bye.
L’intervista permette di valutare non solo sulla base degli skill e competenze ma anche delle attitudini e comportamenti e di percepire l’impegno, la cura, l’attenzione al dettaglio con cui il candidato ha risposto. A mio avviso sciatteria e frettolosità sono i mali dei tempi moderni!
A questo punto invece di parlare del lato azienda, che mi dici dei candidati? Puoi dare delle dritte a chi sta cercando un lavoro?
Punterei tutto sui social. Posso dare quattro semplici consigli ai candidati:
- LinkedIn: oggi ci sono tanti social media ma LinkedIn è il social media business e job per eccellenza. Su questo strumento occorre avere una cura maniacale.
- Accuratezza: il proprio profilo LinkedIn è, di fatto, il proprio CV. Va tenuto curato e aggiornato. Se è in inglese, l’inglese deve essere di ottimo livello e, se possibile, rivisto da un madrelingua.
- Completezza: il proprio profilo online deve essere completo. Non ha senso scrivere abbreviazioni, essere criptici, non avere i link giusti, per esempio alla pagina aziendale dell’azienda per cui si lavora. Insomma: niente fretta, niente sciatteria. È anche importante aggiungere evidenze e documenti scaricabili.
- Coerenza: foto, titoli, approcci devono essere coerenti tra loro. Non ha senso proporsi per un lavoro di taglio alto e poi avere una foto del profilo scamiciata. Nel caso di donne particolarmente avvenenti, una foto sobria e professionale è assai preferibile a quella che magari si userebbe per Instagram o Facebook (ma attenzione che poi vi vengono a cercare anche lì).
Un ultimo suggerimento: provate a cercare in Google la frase in Inglese “Take the guesswork out of your recruitment process”.