Pochi argomenti sono più complessi, aleatori, dai contorni incerti come il “vendor scouting”, dove con questa locuzione identifichiamo la ricerca di nuovi fornitori di tecnologia per indirizzare precise aree di mercato. Attenzione, non parliamo qui di un qualcosa tipo l’epocale ‘A Frà chetteserve?’ di Franco Evangelisti, l’uomo al confine tra politica e affari e precursore di Tangentopoli, intercettato con Francesco Caltagirone. Ovvero non è semplicemente il rispondere reattivamente alla richiesta dell’ufficio acquisti o al bando di gara o fare il “copia e incolla” della quotazione del concorrente. Stiamo invece parlando di andare proattivamente a cercare nuove aree di business, pensando che queste possano essere compatibili con la nostra realtà e ultimamente profittevoli. Oppure magari di perseguire le stesse aree di business che oggi già seguiamo, ma con vendor diversi, da identificare con cura al termine di un percorso di “analisi” e poi di “sintesi”.
Il vendor scouting è un qualcosa di estremamente soggettivo in quanto ogni azienda del canale ICT prende le mosse da un suo specifico punto di partenza. Diverso è quindi inserire l’ennesimo PC a catalogo (anche solo per poter offrire un marchio in più per chi lo chiedesse) dall’importare una sconosciuta soluzione software, magari centrata su argomenti complicati, spesso precorrendo un po’ i tempi (però chi scommise su VMware 10 anni fa, oggi non si trova pentito!). Ma se il vendor scouting un’arte e non una scienza, certamente qualche regola ce la possiamo dare. Vi propongo quindi 5 parole chiave come spunto per una vostra personale riflessione: Adiacenza, Compatibilità, Analisi, Tempo, Pancia.
La prima parola chiave è “Adiacenza”. Se un operatore di canale è primariamente ferrato nel proporre hardware e vuole diversificare nel software, sarà per lui più facile lavorare col software di infrastruttura, in quanto è più vicino all’hardware. Penso qui alla virtualizzazione dei server e dello storage e forse al cloud, e non a piattaforme applicativo-gestionali o alla business intelligence e ai Big Data.
A volte, l’adiacenza può essere non di tecnologia, ma di cliente. Se un cliente che ben conosciamo, ci invita a seguire un certo percorso tecnologico e di offerta, potremo farlo con la sua guida.
A volte ancora, l’adiacenza può essere per gruppo industriale. Molti grandi vendor hanno infatti acquisito delle start-up o dei marchi più piccoli: se ben conosciamo questo vendor e le sue regole d’ingaggio, sarà più facile affrontare nuove tematiche con gli abituali compagni di percorso, piuttosto che partire ex-novo su nuove aree con nuovi interlocutori.
In sintesi: “datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”. Senza punto d’appoggio, tutto si può fare, ma diventa più difficile e costoso
La seconda parola chiave è “Compatibilità”, che vuol dire in concreto “panettiere, fai il tuo mestiere”. Ho personalmente visto un sacco di tentativi velleitari di diversificazione che lasciavano francamente il tempo che trovavano. L’ICT è un mondo pieno di “buzzword”: parte una moda e su quella ci si butta, senza ricordare che non basta che un mercato esista per poterne trarre del profitto. Di fatto, la compatibilità è amica dell’adiacenza ed ecco quindi un altro invito ad evitare voli pindarici.
La terza parola è “Analisi”. Lavorando per distributori di soluzioni, ho personalmente tenuto aggiornato un questionario di circa 150 domande, sotto la cui lente mi piace scrutinare il nuovo potenziale vendor da diversi punti di vista: la dimensione e le politiche di canale, la tecnologia e gli sconti, fino a cose apparentemente banali (ma che possono poi rivelarsi un successivo bagno di sangue), quale la modalità di gestione degli ordini, dei pagamenti e dei fondi di sviluppo marketing. Come dicono gli anglosassoni: “better safe than sorry”. E non dimentichiamo che lo scouting può portare via molto tempo: se siamo incompatibili con questo nuovo vendor, meglio scoprirlo il più presto possibile.
La quarta parola è quindi “Tempo”. Troppe, troppe, troppe volte, si pretende che una nuova iniziativa porti profitto immediato. Oppure la conseguenza è che ci si stufa presto e la si lascia perdere. Innanzitutto ricordiamoci che ogni nuova iniziativa si intraprenda ha un costo, sia esso imputabile “direttamente” (persone dedicate al nuovo vendor, programmi di lancio, inserimento nei sistemi gestionali, gestione finanziaria dei progetti generati nuova opportunità …), o “indirettamente” (fatturato eroso ad altri marchi presenti in offerta, distrazione di risorse da altre iniziative, aumento di complessità della struttura …). La regola aurea è che raramente una nuova iniziativa porta profitto nei primi 12 mesi dal lancio. Detto in soldoni: innovare è un costo. Se abbiamo solo obiettivi di profitto legati al corrente anno, meglio non innovare! (e poi il problema si riproporrà il prossimo anno …)
La quinta parola è “Pancia”. Tutto quanto scritto sopra può apparire estremamente razionale. Ma, come sappiamo, nella vita reale, non tutto funziona così razionalmente. Il successo o l’insuccesso di una iniziativa può essere spesso legato a questioni di chimica, di fortuna, di opportunità, di intuito, non tutte codificabili. Ma sbagliando s’impara (o almeno si dovrebbe!) e quindi il fiuto e l’esperienza, il sentire “di pancia” che la cosa può funzionare ha la sua importanza. E vale poi sempre il detto che “chi non risica non rosica”.
Buon scouting, quindi. E se ne avete voglia, scrivetemi!
PS: per approfondimenti: https://www.primobonacina.com/services/technology-products/vendor-scouting/