Tutti sanno che è più facile ed efficace indicare un percorso di guida a chi ha già deciso di mettersi in cammino, dare una risposta a chi chieda «Come ci arrivo lì?» piuttosto che imporgli di muoversi. È un problema di “coinvolgimento”. Se quella persona è già coinvolta in un percorso ha vinto un’inerzia iniziale.
E quando il coinvolgimento è reciproco, si dice che siamo “allineati”. Quando, all’interno di un’organizzazione, le persone remano nella stessa direzione, tutto procede fluidamente e i manager possono diventare veri e propri coach. Si smette di pensare in termini di società, azienda, ente, divisione, reparto, area, e si cominciano a usare parole come “squadra” e “team”.
E per i team coinvolti in un cammino non c’è bisogno di ricorrere all’autorità, alla disciplina e a troppe ricompense quali bonus o premi produzione (che ci devono essere ma senza diventare il fattore motivante unico). L’interesse delle persone in team è progredire e crescere. Invece di concentrarsi sulla competizione, sulla scarsità di risorse e sulle possibili scorciatoie, i team in cui domina il coinvolgimento si mostreranno più resistenti, cooperativi, impegnati e capaci di raggiungere il risultato.
La parola chiave è quindi “coinvolgimento”. Il nostro primo contatto con il mondo degli impegni è stato però con la cosiddetta “scuola dell’obbligo”, dalle elementari in poi. Alla materna giochi e interagisci, alla scuola primaria, invece, cominciano doveri e voti.
Andare a scuola ci ha portato quindi un po’ fuori strada riguardo all’importanza del coinvolgimento poiché le attività didattiche sono obbligatorie e il coinvolgimento è un qualcosa che spesso resta sulla carta e raramente diventa un vero stato emotivo. È quindi infinitamente più facile allenare una squadra di calcio che insegnare a calcolare le frazioni o a fare l’analisi grammaticale.
Ed è ovvio: nel primo caso sono tutti “coinvolti” dal gioco; nel secondo, gli alunni, con poche eccezioni, stanno affrontando un compito loro assegnato cercando di cavarsela magari con un buon risultato ma, al contempo, col minor sforzo possibile.
Anthony Iannarino (https://www.thesalesblog.com/) dice che troppi leader si affidano alla propria autorità nel gestire i collaboratori invece che invitarli ad affrontare un’avventura che abbia un senso per loro e che costituisca un percorso.
Ma come possiamo costruire un percorso?
I livelli del coinvolgimento
Il coinvolgimento può essere a vari livelli:
- A un livello iniziale, di base, c’è il desiderio di evitare punizioni, di non essere estromessi, di preservare lo status quo, di sopravvivere. In questa condizione non ci sono troppi sogni anche se, talvolta, ciò evolve in un intreccio reciprocamente benefico tra capo e sottoposti. Il coinvolgimento si trasforma così nel desiderio di piacere, nell’esprimere lealtà e dedizione alla causa
- A un livello superiore, c’è la dinamica tribale, al cui interno il coinvolgimento è più comune e più capace di propagarsi e di resistere. «Quelli come noi fanno così»: questa è la cultura nella quale si sceglie di vivere, è la narrativa su cosa occorre fare per essere parte del clan, assumendo ruoli che definiscono uno status e alimentano il senso di affiliazione. Il coinvolgimento in un gruppo sembra essere la forma che domina la condizione umana ed è il terreno sul quale, spesso, leader e venditori lavorano al meglio
- Ma si può andare anche oltre il gruppo. Anche all’interno di un coinvolgimento tribale c’è lo spazio per soddisfare un desiderio individuale di senso e di apporto. È in questo spazio che vivono i “sogni”. È da questo spazio che vengono (e dove prosperano) i leader. Quando le persone vengono coinvolte in un percorso che, attraverso il loro apporto e sforzo, migliora lo stato delle cose, queste riescono a trovare dentro di sé ispirazione e risorse.
I soldi sono importanti?
Molti manager, sbagliando, credono che la motivazione principale per tutti siano i soldi. Il denaro (i premi, gli incentivi, i bonus, i gadget quali la macchina aziendale di fascia alta) sono infatti uno strumento semplicistico e sbrigativo usato da organizzazioni e individui per trovare scorciatoie nella gerarchia del coinvolgimento.
L’idea è che il denaro sia multifunzionale, che esista un modo semplice e univoco di motivare, che semplici frasi come questa: «Qualsiasi sia il tuo motivo per avere più denaro, comportati così e i soldi arriveranno» possano valere per tutti.
Poi, per essere ancora più brutalmente efficaci, si combina il ruolo del denaro come incentivo con la minaccia di essere estromessi, tenendo le persone sotto una spada di Damocle di natura economica o emotiva.
Ma la storia che il denaro racconta viene interpretata diversamente da persone diverse e in momenti diversi. E se lo intendiamo come una semplice quantità numerica, togliamo un importante aspetto umano al patto che ha quel denaro come protagonista e non riusciamo più a capire di cosa le persone abbiano davvero bisogno e cosa vogliano.
Il coinvolgimento nasce dal sogno
E dunque, da dove viene il coinvolgimento?
Certo, è molto più facile trovare il coinvolgimento guidando persone che siano già coinvolte e stimolate. È quel che accade quando una squadra di Serie A ingaggia una giovane promessa proveniente dalle serie inferiori. Non c’è bisogno di convincerla che il calcio è un gioco bellissimo e la leva non è solo il passaggio a uno stipendio milionario. Casi come questi sono un “sogno” che si realizza, e ciò basta.
Ma al di fuori di questo scenario ideale, da dove arrivano i sogni? Come possiamo portare le persone a chiederci di indicare loro un percorso?
Forse dalla combinazione di due fattori: il contesto dove ci troviamo e il loro bagaglio di esperienze
Il coinvolgimento nasce quindi dalla combinazione di quel che facciamo e di quello da cui siamo circondati:
- Difficoltà di livello appropriato da affrontare imparando
- Supporto (e pressione) dai nostri pari
- Attese condivise e (talvolta) riscontrate
- Piccoli passi sulla strada che stimola un desiderio di fare ulteriori sforzi e ottenere, di conseguenza, risultati importanti
Il compito del leader
Amici imprenditori e manager, se vogliamo ottenere veri risultati dal nostro team dobbiamo coinvolgerlo in un sogno, dobbiamo indicare una strada. I veri leader sono punti di riferimento che ispirano a ottenere meglio e di più: convincono alla loro “causa”, coinvolgono a fornire supporto attivo, aiutano a lavorare con più efficienza, creano una comunità coesa e consapevole che si impegna unitariamente per il raggiungimento di un obiettivo.
E tutto questo lo fanno comunicando in modo preciso e persuasivo, appassionati dalla loro visione. Una comunicazione efficace può fare la differenza e, nell’era moderna, i leader dovrebbero utilizzare un linguaggio sempre più concreto, efficace, chiaro, ispirante, comunicativo per migliorare e fare crescere le loro organizzazioni.
Basta quindi con il puro dovere (“Mi hanno detto che si fa così”). Basta con la sola logica del denaro e del piano incentivi (che ci deve essere, ma deve andare di pari passo con coinvolgimento e consapevolezza).
Per andare veramente avanti, dobbiamo avere un “sogno”. Lo diceva anche Martin Luther King nel suo famoso discorso “I have a Dream” pronunciato a Washington nel 1963 dove ripeteva quasi ossessivamente di avere un sogno e che questo avrebbe potuto coinvolgere coloro che lo ascoltavano.
Forse non saremo tutti Martin Luther King e non avremo la capacità di avere e di comunicare visioni di tale impatto. Prosaicamente, le nostre attività e aziende non saranno destinate a cambiare il mondo, ma, è sicuro che, solo tramite il coinvolgimento, le persone smetteranno di comportarsi come automi, trasformandosi invece in esseri pensanti che capiscono da soli perché è importante andare avanti. Tutti insieme. E chiederanno indicazioni ai leader.
E tutti sanno che (cit. la prima frase di questo articolo) “è più facile ed efficace indicare un percorso di guida a chi ha già deciso di mettersi in cammino piuttosto che imporgli di muoversi.“
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